Sistema idrico di Revöira e Cà di Dentro
Rivista 154 – Maggio 2017
Valle Verzasca
Sistema idrico di Revöira e Cà di Dentro
Di Luca Bettosini e Ely Riva
Fortunatamente Al Matro, Revöira e Cà d’Dent non sono stati dimenticati e in questi ultimi anni è stato creato un interessantissimo Itinerario Etnografico.
I nostri monti sono intensamente ricchi di manufatti, sentieri, ponti, muretti a secco, baite e così via discorrendo. Tanti di questi manufatti, se potessero narrare le loro vicende, riempirebbero volumi e volumi di aneddoti e racconti. Chi sale in Val Verzasca al giorno d’oggi, appena passata la diga, famosa per la sua altezza, nota in lontananza una montagna a forma di piramide che si erge al centro della valle. Si tratta della Föpia (2’106 m) conosciuta in passato, ma non dai vecchi alpigiani, come Foebbia. Sulla sua vetta un punto bianco indica una croce rinnovata una decina di anni fa. Il bel villaggio di Lavertezzo si trova ai suoi piedi.
In una valle come la Verzasca dove il terreno al piano era ben poca cosa e le montagne tante, era naturale fin dal Medioevo cercare di trarre tutto il possibile foraggio necessario dai monti. Quella dei nostri vecchi era un’agricoltura di sopravvivenza, era una necessità ancora solo 50 anni fa. Mancanza di fieno significava dover vendere capre o mucche, e sarebbe stata una tragedia. «Ecco perché gli erti pendii inaccessibili al bestiame si popolavano durante la stagione estiva di una moltitudine di persone, uomini, donne e bambini che, alternando il lavoro al piano, in valle, sui monti e sugli alpi in un incessante andirivieni, andavano a boschi per raccogliere tra bricchi e rocce anche il più remoto ciuffo d’erba» (cit. Rosanna Zeli).
Anche il Bonstetten nel 1795 aveva notato che «le donne si inerpicano a falciare il fieno su quelle cenge in cui le vaccherelle, pur simili a capre, non possono arrivare, finché ogni pascolo è stato sfruttato appieno; allora si sale con mucche e bambini, sopra i precipizi più spaventosi, sulle alpi superiori». Era una necessità salire ai “medée”, piccoli e ripidi terreni di montagna, alle volte strettissime cenge appiccicate a strapiombi rocciosi su cui cresceva erba, anche solo pochi ciuffi. E la Föpia, la montagna sopra Lavertezzo, era ricca di “medée”.
Ma su quella montagna, a monte di Aquino e Sambugaro, frazioni di Lavertezzo (Verzasca), dove la montagna non era troppo ripida, tra i 900 e i 1’000 metri, erano stati creati alcuni maggenghi molto particolari, dai nomi significativi: Cà d’Dent (Cà di Dentro), Cioss dal Gioachin, Sassel e Revöira. Erano maggenghi in pendenza senza sorgenti, divisi da un torrente chiamato El Crois sempre asciutto d’estate.
Mancava l’acqua. Di conseguenza era impensabile uno sfruttamento agricolo da questa parte della montagna. E un tempo, fino a pochi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, ogni più piccolo pascolo doveva essere sfruttato.
Ogni pezzo di terra, anche se ripido, doveva essere preso in considerazione. Soprattutto da quella gente della valle per cui l’attività principale era costituita dall’allevamento del bestiame e dalla lavorazione del latte.
Per sopperire all’inconveniente della mancanza d’acqua, sono stati provvisti di uno straordinario e ingegnoso impianto idrico, che Franco Binda con alcuni collaboratori studiò nei minimi dettagli una trentina di anni fa.
Un particolare che più di ogni altro indica quale importanza abbia avuto questo insediamento agricolo per Lavertezzo è la presenza lungo la strada, da Sambugaro (Sambughee) fino ad Al Matro, di ben 5 cappelle di devozione, le quali dimostrano che su quella strada doveva verificarsi un intenso traffico di persone (oggi tre di queste cappelle sono state restaurate mentre due sono in stato di abbandono). Ma la montagna aveva anche una grande ricchezza: le pietre!
Visitando i diversi nuclei del monte, in particolare Revöira e Cà d’Dent, desta meraviglia la presenza di un alto numero di vasche monolitiche dalle più disparate forme e grandezze. La grave scarsità d’acqua aveva indotto ogni proprietario a munirsi di queste vasche per permettere l’abbeveraggio del bestiame. Nei giorni piovosi l’acqua piovana veniva convogliata dai tetti nelle vasche per mezzo di canali ricavati da tronchi di legno. Quando il bel tempo durava troppo a lungo le vasche venivano riempite con l’acqua dei pozzi.
«Ciò che forse più colpisce visitando il monte e che ci fa meglio comprendere quanto laboriosa debba essere stata la ricerca dell’acqua» afferma il Binda «è la presenza di sei pozzi, tre a sezione quadrata e tre a sezione circolare, tutti rivestiti internamente da una muratura. Essi sono alimentati da acqua di infiltrazione».
Il pozzo più grande, Ar Cisterna, ha una capienza di 12’000 litri e dispone di una scala che scende a chiocciola all’interno del pozzo in modo da facilitare la raccolta dell’acqua nei momenti di scarsità di pioggia. Il pozzo più piccolo arriva a 2’000 litri. Il pozzo più curioso, invece, si trova in località Sassel a circa 200 metri a nord ovest di Cà di Dentro. Ha il soffitto a volta, l’intonaco in calce ed è alimentato da acqua captata dal tetto e con acqua filtrante dal sottosuolo. Purtroppo è difficile da localizzare essendo in mezzo al bosco, in direzione della Piantagione.
La capacità massima dei sei pozzi è stata stimata attorno ai 29’000 litri, mentre quella di tutte le vasche messe insieme è di circa 5’000 litri.
Le belle vasche monolitiche dalle forme più svariate da cui si dissetarono chissà quante mandrie e greggi, resistono da secoli ai logorii del tempo, della neve e del ghiaccio. Anzi nel lento scorrere dei lunghi inverni, il ghiaccio ha esercitato sulla superficie interna delle vasche una vera e propria abrasione togliendo al sasso la ruvidezza lasciata dallo scalpello. Un’altra caratteristica di questi maggenghi sono gli innumerevoli muri a secco eretti per proteggere i pascoli.
Veramente impressionante è il muro che circonda il Cioss dal Gioachin, un muro che in alcuni punti supera i tre metri di altezza. Così il Binda concludeva il suo meticoloso lavoro sull’impianto idrico di Revöira e Cà d’Dent: «la presenza di pozzi, cisterne e vasche di pietra in una zona montana ora quasi deserta, la vista di tanti edifici diroccati, alcuni dei quali affiorano dal terreno con il solo vago riquadro delle fondamenta, i calcinacci degli affreschi sgretolati ai piedi dei muri in rovina, le felci, i rovi e soprattutto il silenzio che preme malinconico dove non c’è più vita, tutto questo ridesta in noi non solo il sentimento del tempo, ma sgomento e dolore (…). E noi che assistiamo indifferenti, anche se non sempre impotenti, a questa lenta agonia, rispettiamo almeno le opere che gli antenati hanno realizzato con geniale intuito e paziente fatica. Fra queste opere l’impianto idrico di Revöira e Cà d’Dent rimane certamente un esempio vivo e singolare.»
Le date incise sugli stipiti della maggior parte delle stalle e delle cascine dei due maggenghi – il Binda parla di ben 51 costruzioni – indicano che esse furono edificate tra il ‘600 e ‘800.
Ora a distanza di oltre tre secoli non è certo facile ricostruire come i tenaci contadini di Lavertezzo siano riusciti a localizzare la presenza dell’acqua nel sottosuolo e immaginare di raccogliere quella che sarebbe scesa dal cielo. Sta di fatto che ci riuscirono e la loro opera, che a noi uomini del XXI secolo abituati alle strabilianti realizzazioni della tecnologia, può anche sembrare modesta se non ridicola, ai loro occhi dovette apparire perlomeno incredibilmente prodigiosa se non addirittura miracolosa.
Fortunatamente Al Matro, Revöira e Cà d’Dent non sono stati dimenticati e in questi ultimi anni è stato creato un interessantissimo Itinerario Etnografico. Il bel sentiero che collega il villaggio di Lavertezzo e le frazioni di Aquino e Sambugaro con i maggenghi è stato messo in ordine e ben sistemato con cartelli indicatori e spiegazioni su pozzi e vasche in italiano, francese e tedesco.
Itinerario
I monti di Al Matro, Revöira, Cà d’Dent e il Cioss dal Gioachin, situati attorno tra i 900 e i 1’000 metri di quota, si raggiungono da Aquino (576 m) o da Sambugaro (629 m) lungo un sentiero ben marcato con diversi cartelli segnaletici, chiamato Itinerario Etnografico. Da Lavertezzo (536 m) si prende la mulattiera che dalla chiesa barocca di Santa Maria degli Angeli sale a Sambugaro (629 m). Attraversando il piccolo nucleo di case antiche si notano anche alcune date sugli stipiti delle porte come quella curiosa del 1627 (MCCCCCCXXVII). Il sentiero etnografico da Sambugaro sale leggermente verso nord-ovest in direzione di Scandurascia e Al Matro passando accanto a cinque cappelle, di cui tre appena restaurate. Piccoli ponti di legno facilitano il passaggio di ruscelli che possono diventare invalicabili in momenti di pioggia. Dal momento che i sassi non mancano su questa montagna, il percorso è fatto per la maggior parte di scalini di pietra.
Ad Al Matro si incontrano le prime cascine con le vasche di pietra ed un piccolo pozzo.
Poco sopra Al Matro l’Itinerario Etnografico conduce, sempre ben segnalato dai cartelli, a Revöira, dove si trova il maggior numero di cascine e vasche e alla sua grande Cisterna provvista recentemente di un parapetto. Tra Al Matro e Revöira vi è una deviazione che in pochi minuti conduce a Cà d’Dent e al Cioss dal Gioachin. La durata della salita è di circa un’ora su larghi sentieri facili da percorre e ben curati che si snodano all’interno di una fitta selva di castagni.
Scheda tecnica
Meta: Revöira e Cà d’ Dent
Cartina 1:25.000: Osogna nr. 1293 – nr. Maggia 1292 – Quadraconcept Valle Verzasca
Partenza: Lavertezzo (536 m)
Arrivo: Revöira (970 m)
Dislivello salita: 460 m
Dislivello discesa: 440 m
Tempo salita: 1 ora e 30
Tempo discesa: 1 ora
Difficoltà: T2
Trappole per lupi
Nel 1808 il Gran Consiglio ticinese emanò una legge che fissava un premio per gli uccisori di bestie feroci. Nel 1982 a Ginevra una convenzione europea dichiarò il lupo “specie gravemente minacciata”, quindi degna di essere protetta. Ora il lupo è ritornato anche sulle montagne ticinesi dove era stato sfrattato un paio di secoli fa. Hans Rudolf Schinz (1745-1790), che percorse in lungo e in largo i baliaggi ticinesi, così scriveva nelle sue lettere: «nel 1772 nella sola Val Verzasca si abbatterono a fucilate quattro lupi e se ne presero altri con le trappole».
A testimonianza di questo in Verzasca si sono conservate ancora due trappole per lupi chiamate “Lüére”.
Lüéra delle Ganne
Questa buca si trova ai piedi di un grande macigno inclinato alle Ganne di Brione. La sua profondità doveva essere maggiore di quella attuale. La trappola si presenta con un’apertura tondeggiante che scende nel terreno allargandosi a campana, in modo che il predatore cascato dentro non potesse avere nessun appoggio per tentare la fuga.
Lüéra dell’Alnasca
Questa fossa circolare rivestita con un muro a secco si trova lungo il sentiero che da Piee (Brione) sale ad Alnasca lungo la sponda sinistra della Verzasca. A differenza di quella delle Ganne qui era la profondità ad impedire al lupo di uscire.