Il Verbasco o Verbascum
Rivista numero 111 – Giugno 2013
Il Verbasco o Verbascum
di Grazia Vulpiani
I verbaschi si lasciano ammirare da lontano, a volte soli, altre volte in file serrate, con “l’aria gloriosa e indolente delle specie di grossa taglia, venute per caso. Non fanno che spostarsi”(Gilles Clèment).
Tutte le volte che mi trovo ad affrontare una nuova pianta, è naturale per me andare a guardare il mondo antico, la conoscenza anteriore. La sensazione che da sempre ho, forse da quando sono piccola, è che tutto sia stato già inventato. Forse sarebbe meglio definire questa sensazione come la certezza che l’uomo moderno nella sua spasmodica e spesso capziosa ricerca abbia dimenticato ciò che già possedeva, per ritrovarsi ora a riscoprirlo. Il Verbasco ad esempio viene già citato nell’Odissea. Pare che il mitico Ulisse durante il suo lungo peregrinare ne portasse una piccola quantità allo scopo di proteggersi dagli inganni della maga Circe. È possibile definire questo come un indizio dell’uso e dell’importanza che il Verbasco aveva nell’antichità: un magico protettore dagli spiriti maligni. Oggi viene da ridere all’idea di poterlo usare per chissà quali riti magici. Ma provate ad immaginare di tornare indietro in un tempo in cui le conoscenze non erano cosí millimetriche come oggi e improvvisatevi erboristi alla ricerca di una cura per guarire da una malattia come la diarrea, somministrando un decotto di radice di Verbasco. Penso che sia semplicemente stupefacente e, perché no, anche magico.
In botanica
Il Verbascun appartiene alla famiglia delle Scrophulariaceae che comprende piante perenni e annuali, piú di duemila specie distribuite nelle regioni temperate e fredde. Della stessa famiglia è anche il Tasso Barbasso, che è pur sempre un Verbasco. Come pianta si presenta piuttosto vistosa, con forma piramidale. Dal fusto eretto che può raggiungere i due metri di altezza. Il fusto è semplice ed eretto, coperto da lanugine. Il nome Barbasso si trova utilizzato soprattutto da Plinio, dal latino barbascum o barbato e probabilmente fa riferimento alla diffusa pelosità di queste piante. Le foglie sono ovate o lanceolate, irregolarmente dentellate ai margini. L’infiorescenza è un lungo racemo apicale, cilindrico, semplice o poco ramificato, che porta molti fiori brevemente penduli. I fiori di colore giallo, compaiono in estate-inizio autunno e sono fittamente riuniti nel lungo racemo. Il Verbasco cresce preferibilmente negli incolti, radure boschive, pascoli prediligendo terreni a carattere siliceo. È diffuso dalla pianura alla zona submontana.
Raccolta e fioritura
Il Verbasco fiorisce da giugno a settembre. La raccolta delle foglie della rosetta basale conviene farla a primavera inoltrata. Nel passato le sue foglie larghe e quasi vellutate sono state usate come “carta igienica”. Forse si deve a questa pratica la scoperta dell’azione benefica della pianta sulle affezioni emorroidarie.
Nomi comuni
Il Verbasco è conosciuto anche con i nomi di Tasso barbasso, Lucerna o Cero brustolon e Guaraguasco.
Proprietà
Il Verbasco risulta particolarmente ricco di olio essenziale, mucillagine e saponine, che lo rendono particolarmente utile nelle affezioni bronchiali. In particolar modo le foglie e i fiori posseggono un’azione antispasmodica e sono molto utili per curare la tosse secca, l’asma bronchiale e le bronchiti acute e croniche. La ricerca ha confermato l’attività antitubercolare degli estratti della pianta. I fiori, dal profumo di miele, sono utilizzati per aromatizzare i liquori; inoltre forniscono una crema emolliente, lenitiva e ad effetto cicatrizzante per la pelle, riducendo le infiammazioni causate da eczemi. Dai semi, invece, si ottiene un olio molto utile per curare l’orticaria e le screpolature. La radice è diuretica e la tintura omeopatica lenisce il mal di testa e il male alle orecchie. Di questa pianta si usa proprio tutto. Mi viene spontaneo fare un esempio con un animale; del maiale non si butta via niente, cosí anche del Verbasco: la lanugine delle foglie è adatta a preservare gli indumenti, per accendere il fuoco o anche per creare un bendaggio di emergenza. In epoche passate gli steli essiccati erano usati per farne delle torce, mentre le capsule mature, avendo una certa tossicità, erano usate per la caccia di frodo, per stordire i pesci. Grazie a tutte queste straordinarie proprietà il Verbasco è ampliamente citato in tutti i testi erboristici dei piú famosi ed antichi botanici da Teofrasto a Plinio, da Dioscoride ad Apuleio, Galeno, Castore Durante fino alla moderna fitoterapia.
Un po’ di storia
La derivazione etimologica del nome della pianta permette anche a chi non è del mestiere di scoprirne curiosità ed utilizzi. Il nome Verbascum deriva dalla radice “Virb” che significa verga. Il nome greco phlomos significa invece “brillare” e ci riconduce al fatto che la pianta era usata come stoppino sin dai tempi piú antichi. I Cimbri dell’alta Lessina Veneta lo chiamavano “humalprant” che significa “incendio nel cielo” poiché un’antica credenza germanica diceva: “il fulmine cada, sulla casa di colui che strappa un Verbasco”.
Il Verbasco ha ricevuto anche gli onori della letteratura Italiana nel capitolo XXXIII dei Promessi Sposi, quando il Manzoni descrive la vigna di Renzo. Dalla lettura del capitolo traspare, oltre alla maestria del sommo poeta, anche la conoscenza di grande botanico:
“Diede un’occhiata in giro: povera vigna! Era una marmaglia di ortiche, di felci, di logli, di gramigne, di farinelli, d’avene selvatiche, d’amarantiverdi, di radichielle, d’acetoselle, di panicastrelle e d’altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d’ogni paese ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce, o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli, che facevano a soverchiarsi l’uno con l’altro nell’aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi insomma il posto per ogni verso… Tra questa marmaglia di piante ce n’era alcune di piú rilevate e vistose, non però migliori, almeno la piú parte: l’uva turca, piú alta di tutte, co’ suoi rami allargati, rosseggianti, co’ suoi pomposi foglioni, verde cupo, alcuni già orlati di porpora, co’ suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche paonazze al basso, piú su di porporine, poi di verdi, e in cima di fiorellini biancastri; il tasso barbasso, con le sue gran foglie lanose a terra, e lo stelo diritto all’aria, e le lunghe spighe