I misteri delle grotte
Rivista numero 85 – Febbraio 2011
I misteri delle grotte
Testo di Luca De Franco
Pensi forse che siano belle le stanze dove dimora il tuo re? Ma non sono che tuguri, in confronto alle caverne che ho visto: saloni interminabili pieni dell’eterna musica dell’acqua che gocciola in stagni splendidi come Kheled-Zaram al lume delle stelle… (J. R. R. Tolkien, Il Signore degli Anelli)
Da sempre l’uomo è stato affascinato dalle grotte, dagli antri oscuri che penetrano nel cuore della terra. Le grotte rappresentano il confine che separa la luce del giorno dall’oscurità e posseggono un’attrattiva cosí intensa da essere protagoniste di racconti fantastici o avventurosi come nel caso de “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain, oppure di Tolkien che nel suo “Il Signore degli anelli” costruisce le immaginarie caverne di Gimli senza sapere che, spesso, sottoterra, la realtà è capace di superare la fantasia piú scatenata. Un altro esempio è dato anche da Jules Verne che nel suo “Viaggio al centro della Terra” descrive addirittura un oceano sotterraneo: allora non poteva sapere che esiste nel Borneo, nella regione di Sarawak, una sala sotterranea lunga 800 metri, larga piú di 300 e alta 70, per un volume stimato di 12 milioni di metri cubi! Tanto per dare un’idea: in questo gigantesco ambiente potrebbe entrarci un intero paese! La parola grotta (inglese cave, francese e tedesco grotte, spagnolo gruta, ma si usa comunemente cueva) deriva dal latino volgare grupta, corruzione del classico crypta. In italiano ha un parziale sinonimo in caverna. La caverna si distingue dalla grotta perché è meno profonda ed ha un’apertura piú larga. Col termine di grotta, nel suo significato piú ampio, si intende qualsiasi tipo di vuoto sotterraneo, sia naturale che artificiale. Si definiscono grotte primarie quelle formatesi contestualmente alla roccia in cui si aprono (come ad esempio le grotte chiamate “tettoniche” apertesi per la presenza nella roccia di fratture e faglie, in seguito allargatesi sotto l’influenza della forza di gravità), grotte secondarie quelle formatesi a seguito dell’alterazione dei materiali di costituzione (come le grotte naturali che si formano pressoché in qualsiasi roccia, per effetto del lavoro dell’acqua a spese di un ammasso roccioso fratturato). Le grotte si differenziano tra loro a seconda delle cause che le generano e del tipo di roccia in cui si aprono. Tuttavia il novanta per cento delle grotte s’apre nelle rocce solubili, ed in particolari nei calcari, dolomie, marmi, gessi, depositi di salgemma ed in forma minore nei calcescisti; il fenomeno interessa, quindi, tutte le rocce contenenti lo ione carbonato (CO3-).
Per capire come nascono le grotte e come si sviluppano, dobbiamo partire dalla modalità di origine delle rocce che le ospitano: quindi dobbiamo partire da come nascono le rocce calcaree. Per far questo dobbiamo tornare indietro nella storia della terra fino a circa duecento milioni di anni fa, quando gran parte dell’area geografica attualmente occupata dall’Italia e dal Ticino giacevano sotto il mare. Sul fondo di questo mare si accumularono, nel corso di millenni, materiali di varia natura e provenienza che andavano formando un letto melmoso. La maggior parte di questi materiali è dato da carbonato di calcio (CaCO3), contenuto nei resti di esseri viventi marini come alghe, coralli, gusci di molluschi e crostacei, oppure depositato per precipitazione chimica, al pari di altri sali contenuti nell’acqua di mare. Altro carbonato di calcio poteva essere trasportato in mare dal vento o dai fiumi come risultato dell’erosione esercitata sulle terre emerse. L’accumulo o, come si dice, la “sedimentazione” di questi materiali poteva interrompersi e riprendere per varie cause, e al carbonato di calcio potevano aggiungersi altri materiali. La sedimentazione poteva consistere in una successione di strati di CaCO3, piú o meno puro, separati da strati di altri materiali contenenti, ad esempio, minerali argillosi. Queste sostanze potevano avere varia origine, come per esempio il pulviscolo e i detriti prodotti da un’eruzione vulcanica. L’insieme di questi materiali è stato quindi sottoposto, col passare dei secoli, ad un processo di trasformazione e di consolidamento, chiamato dai geologi “diagenesi” che avviene per mezzo di fattori chimici e fisici e che porta alla formazione di roccia vera e propria. Nel corso di milioni di anni questi strati di roccia di vario spessore sono stati deformati dai lenti, ma possenti movimenti della crosta terrestre, che li costringevano a sollevarsi, piegarsi ed emergere dal mare formando aspre catene montuose; basta osservare le montagne a sud di Lugano, come il monte Generoso o il San Giorgio, per vedere questi fenomeni. A seconda del periodo di formazione dello strato di roccia è possibile trovare nel calcare determinati resti fossili di animali o piante marine vissuti solo in certe epoche. Ciò permette di datare con precisione il periodo geologico a cui risale la formazione del calcare. A diversi periodi corrispondono calcari con caratteristiche diverse. Essi vengono perciò classificati in base all’epoca di formazione. Le spinte tettoniche, a cui le rocce erano sottoposte, non potevano lasciarle intatte. Esse, entro certi limiti, potevano deformarsi piegandosi, come si può facilmente osservare su certe pareti rocciose in montagna o sulla costa che cade a picco sul mare. Se i movimenti erano piú violenti e la roccia meno elastica, si producevano delle rotture all’altezza degli spazi vuoti esistenti fra gli strati. Alcune sono fessure di piccole dimensioni, ma molto numerose. Altre, piú grandi, sono molto importanti nel dare inizio allo sviluppo di una cavità: si tratta delle “faglie”, dovute a spinte contrastanti che spaccano la roccia e portano i lembi della frattura a scorrere l’uno in senso opposto all’altro; e delle “diaclasi” (dal greco antico, “spezzo”, “separo”) spaccature verticali dove si osserva allontanamento delle pareti rocciose, ma non scorrimento. Sotto cime, valli e altipiani di un massiccio calcareo esiste pertanto una rete di fessure di varie dimensioni, in gran parte in comunicazione fra loro. Si creano cosí imponenti ammassi calcarei con un certo numero di fessure e di fratture, all’interno delle quali l’acqua con il suo continuo e incessante, passaggio potrà creare, nei millenni, le grotte attraverso il fenomeno del carsismo (cosí denominato perchè studiato per la prima volta nel Carso triestino), prima scorrendo in superficie (carsismo superficiale), quindi penetrando in profondità (carsismo profondo).
La formula chimica del carbonato di calcio (CaCO3) ci dice che una molecola, o particella elementare di questa sostanza, è composta da un atomo di calcio (Ca) legato ad uno di carbonio (C) e tre di ossigeno (0). Questo composto è in grado di costituire rocce e minerali uguali come composizione chimica di base, ma con differenti caratteristiche chimico-fisiche. Per esempio, il calcare e il marmo: tali rocce hanno la stessa composizione chimica, ma differenti strutture cristalline. Il calcare è una roccia ”sedimentaria”, cioè si è formata per accumulo di materiali detritici. Il marmo invece è una roccia che, sedimentaria in origine, ha subito successive trasformazioni nella struttura cristallina, che la fanno classificare come roccia “metamorfica” (dal greco metamórphosis, “trasformazione”). Caratteristica particolare del carbonato di calcio, dal punto di vista della speleogenesi, è che tale roccia può essere “spezzata” da una miscela di acqua e anidride carbonica (CO2). Il carbonato di calcio è insolubile in acqua normale, dunque questa non dovrebbe avere nessun effetto sul calcare. Ma l’acqua piovana, attraversata l’atmosfera e giunta su un terreno ricco di strati di foglie e materiali organici in decomposizione, si carica di anidride carbonica (CO2). A contatto con quest’acqua ricca di CO2 il carbonato di calcio delle rocce si trasforma in bicarbonato di calcio Ca(HCO3)2, un sale solubile in acqua secondo la seguente reazione chimica reversibile: carbonato di calcio + acqua + anidride carbonica = bicarbonato di calcio.
CaCO3 + H2O + CO2 <=> Ca(HCO3)2
Questo fenomeno è valido anche per i calcescisti, anche se non sono carbonati in senso stretto. Essi, possedendo una frazione terrigena non solubile, saranno meno intaccati dalla dissoluzione e soprattutto in maniera piú discontinua. La frazione terrigena resterà nel sistema come sabbia o fango, sotto forma di deposito. Questo flusso d’acqua carico di CO2 si insinua nelle numerose fessure e fratture del calcare, soprattutto nei punti dove queste si intersecano, e compie un lento lavoro di corrosione, facendosi strada nei giunti di strato e cercando sempre nuove vie, e allargando quelle che già percorre. La capacità di una certa quantità di acqua di sciogliere (solubilizzare) il CaCO3 è limitata e dipende da vari fattori. Tra questi i piú importanti sono la quantità di CO2 contenuta nella miscela e la quantità di carbonato di calcio già disciolto. Sarà il rapporto tra queste due quantità a rendere corrosiva o no (cioè “satura”) l’acqua. Può pertanto accadere che due vene d’acqua entrambe sature, che si incontrano nel sottosuolo miscelandosi, riacquistino capacità aggressiva sul calcare. Uno studioso contemporaneo (Boegli nel 1960) teorizzando questo fenomeno riuscí a spiegare perché possano formarsi vasti ambienti sotterranei anche in profondità, dove l’acqua, avendo già disciolto ingenti quantità di calcare, dovrebbe aver perso, per cosí dire, la sua “carica”. Il fenomeno chimico descritto è reversibile, cioè l’acqua satura di CaCO3 può liberare anidride carbonica (per esempio a contatto con l’aria relativamente povera di CO2 di una sala sotterranea). Lascia cosí depositare nuovamente il CaCO3 sotto forma di calcite con la formazione di quelle meravigliose concrezioni che possiamo ammirare nelle grotte, come ad esempio le stalattiti. Come si può capire da quanto esposto fin qui, l’acqua è il principale artefice dei fenomeni carsici. Tuttavia essa è molto rara sulla superficie delle aree calcaree. Il perché è ben comprensibile: dopo una breve fase di scorrimento sui declivi rocciosi essa viene assorbita dalle fratture grandi e piccole che attraversano la roccia e inghiottita verso il basso. L’acqua continuerà a scendere lungo queste fessure preferibilmente in senso verticale. Percorrerà tuttavia anche tratti orizzontali oppure obliqui se a ciò la costringe la conformazione degli strati. A volte si infilerà con grande lentezza in stretti condotti, gocciolando lentamente. A volte invaderà con notevole pressione, dovuta all’accumulo delle precipitazioni negli strati superiori, tutti gli spazi a sua disposizione, e li attraverserà con violenza. Alla fine della sua discesa l’acqua finirà per trovare uno strato di argilla o di roccia impermeabile, seguendo il quale defluirà all’esterno. Se però alla quota dove è posto tale strato gli sbocchi non sono sufficienti o se lo strato ha forma concava, si potranno formare bacini sotterranei anche di grandi dimensioni. Sono queste le falde acquifere, di evidente utilità per l’uomo. Vaste reti idriche sono, infatti, alimentate da falde di origine carsica. In ogni caso, dunque, l’acqua trova una via d’uscita, sotto forma di sorgenti o di veri e propri torrenti. Il punto da cui l’acqua sgorga viene chiamato “risorgenza”. In certi casi la risorgenza vera e propria si trova sotto la superficie d’un lago: l’acqua fuoriesce a pressione dal fondo d’una conca che si trova al di sotto del livello della falda, per il principio dei vasi comunicanti. Si avrà allora una sorgente di tipo valchiusano, cosí detta dalla risorgenza di Vaucluse (Valchiusa), in Francia. Quella che origina, per inciso, le “chiare, fresche, dolci acque” che colpirono la fantasia del grande poeta Francesco Petrarca. Alla fine l’acqua verrà a creare nel massiccio calcareo due zone distinte: una “zona vadosa” (vuota) dove l’acqua potrà scorrere occasionalmente sul fondo di gallerie o lungo il bordo di pozzi,questa zona è quella esplorata dagli speleologi e, in alcuni casi, attrezzata per i turisti. La seconda è la “zona freatica” (piena) completamente invasa dall’acqua, non esplorabile se non dagli speleosub con le loro complesse attrezzature. Il confine tra le due zone non è sempre fisso, perché dipende dall’andamento stagionale delle precipitazioni. È grazie a questo lento, ma continuo processo legato all’azione dell’acqua che si creano nel sottosuolo le grotte, ambienti unici e affascinanti, che suscitano grande interesse sia dal punto di vista scientifico che turistico e che, dove debitamente attrezzate, possono essere visitabili anche ai non addetti ai lavori.
La grotta dell’Orso
Il massiccio del Monte Generoso è ricchissimo di grotte tanto che ad oggi ne sono censite 92 per una lunghezza totale di 13 chilometri. Tra queste, sul versante orientale del monte, in territorio italiano, si trova la Grotta dell’Orso, scoperta nel 1988 dagli speleologi ticinesi Bianchi Demicheli e Vorpe.
La grotta è aperta al pubblico dal 1999. Le visite, solo accompagnate, sono possibili da giugno a settembre, dal venerdí alla domenica dalle 10 alle 16. La grotta deve il suo nome al fatto che ha custodito per millenni un importante giacimento costituito da un buon numero di reperti dell’Orso delle caverne (Ursus spelaeus), che viveva nella zona e che è estinto da circa 20’000 anni. Nella grotta si possono vedere la ricostruzione dello scheletro di un orso “delle caverne” e parecchie ossa ritrovate: mandibole, crani, tibie, omeri, denti. Sette pannelli con testi in italiano e tedesco, disegni e fotografie completano l’informazione. Non essendo ancora terminati gli scavi, la visita permette di osservare il lavoro dei ricercatori. Sempre al suo interno, piú recentemente, sono stati rinvenuti alcuni reperti attribuibili all’uomo di Neanderthal, vecchi di circa 50’000 anni. Il bilancio del primo decennio di lavori nella grotta è molto positivo, infatti, sono state recuperate oltre 20’000 ossa attribuibili a varie specie animali, tra le quali Ursus spelaeus, Ursus arctos (orso bruno), Crocuta crocuta spelaea (iena delle caverne) , Alces alces, Marmotta marmotta e numerosi micromammiferi. La grotta, chiamata agli inizi “Caverna Generosa”, può essere visitata da tutti, senza nessun equipaggiamento particolare: il casco di protezione è fornito all’entrata della Grotta. La caverna si trova a circa 30 minuti dalla stazione di arrivo del trenino del Generoso ed è raggiungibile con un comodo e ben segnalato sentiero.
Le maggiori grotte del mondo
La grotta piú estesa al mondo è senza dubbio quella costituita dal sistema di Mammoth-Flint Ridge, in America, con piú di 550 chilometri di gallerie, esplorate in oltre un secolo di ricerche. La seconda è una grotta in Ucraina, la Optimisticheskaja: è poco piú di un terzo della prima, ma con essa condivide il fatto d’essere un intricatissimo groviglio di gallerie esteso su pochi chilometri quadrati di superficie. La terza grotta piú estesa al mondo è la splendida grotta di Holloch, in Svizzera, che forma un enorme complesso freatico alpino di circa 180 chilometri di sviluppo, molto esteso anche in verticale.
Passando alle grotte piú profonde del mondo il discorso si complica in quanto il dato della profondità, a differenza di quello della lunghezza, si presta ad essere variato in poche ore da esploratori decisi e fortunati: insomma, la tabella delle grotte piú profonde è molto instabile. Eccone un breve elenco:
Nome della grotta Stato Profondità
Gouffre Mirolda / Lucien Bouclier Francia -1733m
Veronja Cave (Krubera Cave) Georgia -1710m
Lamprechstofen-Vogelshacht Weg Schacht Austria -1632m
Réseau Jean-Bernard Francia -1602m
Torca del Cerro (del Cuevon) Spagna -1589m
Sama Georgia -1543m
Ceki 2 “La vendetta” Slovenia -1533m
Vjacheslava Pantjukhina Georgia -1508m
Sistema Cheve (Cuicateco) Messico -1484m
Sistema Huautla Messico -1474m
Quali sono le massime dimensioni possibili per una grotta? A livello teorico le profondità massime che potrebbero avere le grotte sono rappresentate dai dislivelli massimi dei massicci carbonatici maggiori che superano in molte zone i 2500 metri di spessore (in Pamir, sui Pirenei, sulle Alpi Lombarde) e in alcuni casi addirittura i 3500 metri (Nuova Guinea). Quanto alle lunghezze totali massime, la fantasia non pone limiti! Si sa che il carsismo in certe montagne crea decine di chilometri di gallerie percorribili in ogni chilometro cubico di roccia; sappiamo pure che alcune risorgenze ricevono acqua da migliaia di chilometri cubici di calcare: è dunque probabile che là sotto ci siano grotte che si sviluppano per decine di migliaia di chilometri.
L’uso delle grotte da parte dell’uomo
Le grotte sono state utilizzate dall’uomo preistorico come rifugio tanto che alcune di esse divennero sede di culti arcaici, come dimostrano le pitture rupestri paleolitiche nelle grotte di Lascaux e di Altamira, o i reperti di epoca minoica trovati nelle grotte dedicate al culto di Ilithias e in quelle di Arkalochori a Creta. Venendo ai secoli piú prossimi a noi, i romani usarono spesso le grotte naturali per fini sia utilitari (allevamenti ittici) sia estetico-religiosi, per il loro potere evocativo: ancora nel primo secolo Tiberio, non pago delle sue dodici ville a Capri, aveva “arredato” la grotta marina della sua villa di Sperlonga. Molto frequente fu, nell’età imperiale, l’uso di grotte artificiali per creare ambienti eleganti, freschi, rilassanti e per evocare presenze mitologico-religiose. La riscoperta dell’architettura romana nel Rinascimento riportò in auge l’uso di grotte artificiali. Il Manierismo italiano e francese le collocò nei giardini. La piú famosa è forse quella dei Giardini di Boboli, a Firenze, realizzata da Bernardo Buontalenti. Passano gli anni, il Rinascimento passa, ma la moda delle grotte no: da Versailles alle Tuileries a Bagheria, dal giardino d’estate di Pietro il Grande a San Pietroburgo al Palazzo Tè di Mantova, da Twickenham al Palazzo Farnese di Caprarola, si continuano a progettare e a costruire elegantissime grotte artificiali fino a metà del XVIII secolo. Un altro tipo di antropizzazione delle grotte sono le città rupestri, nate generalmente a scopo difensivo, nella gran parte dei casi abbandonate, ma in alcuni casi ancora utilizzate. In Italia l’esempio piú noto e meglio conservato sono i Sassi di Matera, ma non sono l’unico caso, e se non si vuole andare molto lontano se ne trovano anche nella valle della Loira vicino a Tours. Assai note sono le città rupestri di Cappadocia, Uplistsikhe in Georgia, Petra in Giordania, Matmata in Tunisia, Garian in Libia.